domenica 24 marzo 2013

"Massimo Troisi: lieve, più forte dell'arroganza". Il ricordo di Gianni Minà

Siamo felici di ospitare, dietro sua gentile concessione, stralci dell'articolo che Gianni Minà scrisse a dieci anni dalla scomparsa di Massimo Troisi. 


Nel mese di giugno del 2004, sono stati dieci anni che Massimo Troisi se n'è andato anzitempo da questo mondo. Sempre nell'anno che è appena trascorso, Massimo avrebbe compiuto cinquant'anni. Le manifestazioni per ricordarlo sono state poche e, in alcuni casi, modeste e provinciali, come una serata su Rai Tre organizzata dal Comune di San Giorgio a Cremano dove c'era tutto meno lo spirito e l'eredità di Massimo Troisi. Ho custodito nel mio ufficio un programma in due puntate su Massimo registrato quasi due anni fa al Teatro Bellini di Napoli, intitolato "Noi meridionali, presunti emigranti" che è un percorso diverso sul mondo artistico e umano di Massimo, sulle sue scelte, sul suo modo di proporsi, sulla sua generazione che ha regalato a Napoli, venticinque anni fa, un incredibile rinascimento culturale nel teatro, nel cabaret, nel cinema, nelle arti plastiche e figurative oltre che nella musica. Il programma finora è stato visto solo da alcune centinaia di spettatori al Festival Sergio Leone di Torella dei Lombardi (provincia di Avellino) dove una sera dell'estate scorsa abbiamo ricostruito lo spirito della singolare amicizia che ha avvicinato a Massimo un burbero e visionario creatore di cinema come Sergio Leone, complice un viaggio in un villaggio vacanze della Costa d'Avorio.
Il programma nato con l'idea di presentarlo a Rai Tre non ha potuto finora essere proiettato per una questione di diritti delle sequenze de “Il postino” utilizzate per spiegare meglio la personalità di Troisi e il perchè dell'innamoramento per il libro dello scrittore cileno Antonio Skármeta che ha ispirato il film-testamento di Massimo. Volle girare, infatti, “Il postino” a rischio della propria salute (rinviando l'intervento al cuore già programmato) perchè la storia, riambientata in Italia del postino Mario Ruoppolo, che attraverso Pablo Neruda e la sua poesia scopre la coscienza civile e muore in una manifestazione di piazza repressa dalla polizia dell'epoca di Scelba, lo aveva emozionato così come i versi del grande Nobel cileno, esule nel '51-'52, proprio fra Napoli e Capri.
Quella scoperta lo aveva incuriosito e gli aveva rivelato l'universo appassionato dell'autore del “Canto general”.
Spero che un giorno o l'altro le autorizzazioni a trasmettere questo omaggio arrivino per ricordare agli italiani un attore e autore inimitabile. Perchè quel viaggio nel mondo e nelle idiosincrasie di Troisi, con le testimonianze di Antonio Skármeta, di Pietro Ingrao, di Roberto Benigni, di Ettore Scola, di attori come Mariano Rigillo e Linda Moretti, di Enzo Decaro, di Massimo Bonetti, di Anna Pavignano (sceneggiatrice di tutti i film di Massimo) e anche di Enzo Gragnaniello e James Senese, quel viaggio è un'occasione unica per riflettere sulla modernità artistica di Troisi, sulla vena innovativa della sua comicità, sul suo linguaggio, sul suo cinema e perfino sulla sua passione civile.
Per ricordarlo, ora che ci manca da dieci anni, mi piace riproporre quanto scrissi allora sull'Unità. 
 
Massimo Troisi era un essere umano leggero, lieve, forse stonato in un'epoca ed in una società dello spettacolo dove imporre la propria presenza, essere arroganti, è il comportamento di moda. Massimo sapeva stare al mondo rendendo gradevole la vita dei suoi amici e della gente che gli era cara senza sfiorare mai gli altri con le sue angustie. Del suo "cuore malato", operato a Houston per due volte, non parlava mai, al massimo ci scherzava sopra facendo il verso alle parole di una immortale canzone che talvolta intonava cercando di imitare Sergio Bruni. Si era fatto conoscere come comico negli anni ‘70 con il gruppo La Smorfia composto, oltre che da lui, da Enzo Decaro e Lello Arena, ed aveva raggiunto il successo con "Non Stop", una di quelle trasmissioni-laboratorio della RAI inventate da Bruno Voglino dove nascevano spesso artisti che duravano molto più di una stagione e comici non schiavi di una battuta o incapaci di andare oltre i due minuti di esibizione. Erano comici spesso inventori di un genere, lettori ironici del quotidiano, o interpreti sarcastici della società in cui vivevano. Fu la stagione, oltre che di Troisi, di Benigni, di Verdone, di Grillo. Sono passati soltanto 25 anni e sembra un'eternità. La tv schiava dell'audience, la tv commerciale ha disintegrato anche la capacità di far ridere intelligentemente. E non dico questo perchè Troisi, come gli altri che ho citato, erano indicati come "comici di sinistra", cosa che oggi apparirebbe un peccato. "Scusa, ma da che parte potevo stare? - mi disse una volta Troisi sorridendo - Songo nato a San Giorgio a Cremano e al pizzicagnolo che ogni mattina mi dava pane e mozzarella io dicevo sempre di aver fede, perché ai poveri ci pensa Dio. Pover'omme. Un giorno, stanco di segnare sul quaderno dei crediti, mi disse 'non sarebbe meglio, aspettando Dio, che a saldare il conto passasse tuo padre?'". Nel cinema fu una rivelazione con "Ricomincio da tre", un film del 1981 dove c'erano tutti i dubbi e le disillusioni della sua generazione, ma anche tutto il suo senso della vita, la sua filosofia basata sull'arte di accontentarsi, forse anche un po' della sua famosa pigrizia. Fu questo il sentimento che Massimo apprezzava come una cultura, più che il timore di non riuscire a ripetersi, a convincerlo ad aspettare più del previsto prima di dirigere "Scusate il Ritardo". Amava le donne e lo sport e voleva aver tempo per queste due passioni. "Chi l'ha detto che non è serio amare due donne nello stesso momento e perder tempo per fare la formazione della propria squadra?". Quando il Napoli vinse lo scudetto fu memorabile l'intervista a cui mi costrinse nella trasmissione organizzata per l'occasione facendo finta di essere l'unico napoletano a non aver avuto la notizia e commentandola sorpreso con tutti i luoghi comuni che riguardano il calcio e le interviste. Ricordo ancora come un incubo gioioso le puntate intere in cui Massimo e Benigni occupavano "Blitz", il programma domenicale che vent'anni fa facevo su Raidue. Come i grandi del neorealismo sapeva cogliere il particolare delle cose, delle situazioni, perfino i tic delle persone e trasformarli in una introspezione ironica. Eduardo De Filippo mi disse una volta che era un comico di domani con le radici nel passato. Sotto la sua pigrizia nascondeva però talvolta una volontà di ferro. "Il postino di Neruda", il film con Philippe Noiret terminato il giorno prima di morire, lo aveva inseguito per anni, dopo aver scoperto, come ho scritto, il libro di Skàrmeta, un autore cileno del quale mi aveva chiesto ogni dettaglio. Forse per una volta ha voluto controllare il suo cuore per riuscire a portare a termine un progetto amato. Se la storia è andata così, è stata una delle poche volte che ha permesso al suo raziocinio di prevalere sulle passioni. Ci manca tanto, Massimo. 


Gianni Minà, in "Vivaverdi", maggio-giugno 2004

Questo il link dell'articolo sul sito ufficiale di Gianni Minà: http://www.giannimina.it/index.php?option=com_content&task=view&id=157&Itemid=53
Stralci di questo pezzo furono pubblicati anche su "L'Unità" domenica 5 giugno 1994, all'indomani della scomparsa di Massimo.
 

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